Racconto scritto ascoltando "Fil de verre" di René Aubry.
È un giorno come gli altri, sul pianeta terra. Un giorno come sempre, o forse per un pezzo.
È un giorno come gli altri, sul pianeta terra. Un giorno come sempre, o forse per un pezzo.
"Fil
de verre" danza. La vedo spostarsi delicata lungo un
filo teso teso come quello dove dormono le lenzuola a testa in giù,
sospinte dal vento. Tutto il mondo si è fermato, solo per
ascoltarla. Le dita rimangono sospese sui tasti, i piedi immobili
sull'asfalto abbruttito, i gomiti ruvidi, le impronte di volpe sulla
terra. Un signore affannato con una valigetta di cuoio in mano torna
a respirare, se n'era dimenticato poverino, “non c'è tempo, è
tardi!” pensava forse.
Tutto
il pianeta la guarda muoversi, funambola, sul lungo filo di vetro.
Mollette non ce ne sono, e nemmeno nuvole questa volta, solo il
silenzio. Tutto è liscio, lucido, trasparente. Nulla offusca
nient'altro. L'opaco non è mai esistito. Le persone seguono le sue
note sul filo con occhi di perla. Hanno la bocca spalancata, non
temono nulla, nemmeno loro stessi, nemmeno le mosche curiose. Batte
piano, il cuore. Sfoglia le pagine il vento silenzioso, anche lui
passa e non disturba.
Permesso,
potrei soffiare un pochino, proprio qui.
Prego
signor vento, qui la solitudine finisce e inizia la meraviglia.
Le
note più sottili svolazzano, disperdono piccole piume bianche che
cadono giù. Scivolano volteggiando in una danza, la prima, l'ultima,
per questo la più bella di sempre. Si posano lentamente sui nasi di
chi le guarda ancora ballare su filo di vetro. Il mondo è un teatro
e l'ingresso gratuito. Carezzano le mani stanche, i ventri gonfi, le
spalle rosse, le ginocchia sbucciate, le coste rotte, così come le
promesse. Le piume piangono lacrime di rugiada fragile. Tanto nessuno
le sente, nessuno le vede, tutti ammirano il filo di vetro e il gran
ballo della sera.
Nessuno
era stato invitato, eppure era atteso tutto il mondo.
Quando
la danza ha avuto inizio, tutto il mondo ha taciuto, non c'era
improvvisamente più bisogno di nulla, bisognava solo lasciare spazio
alla meraviglia.
Bisogna
lasciare spazio alla meraviglia.
Le
persone iniziano a piangere. Lacrime dolci, soffici, trasparenti
carezzano le guance. È una guarigione inattesa, eppure tanto
sperata. È una commozione ricolma di tutti i motivi del mondo. Uno
ad uno scendono, scivolano giù fino alla punta dei piedi. È un
fiume, leggero, fragile, lungo, rivoletto dove vai. Scorri via, dove
sei. Sono ovunque, non mi vedi?
C'era
una volta un mondo in lacrime di vetro, trasparenti, buone, una danza
tutto attorno che illumina il cielo, anche quando dentro fa buio e le
lucciole si svegliano. Lo stupore precede l'incanto e l'incanto
perdura, scalda i cuori di tutti i colori.
Quando
finisce il filo di vetro? Non finisce, non ti preoccupare. Non finirà
te lo prometto, questa volta sarà per sempre.
Restiamo
qui. È un bel posto per restare, non è vero?
Piove
tutto attorno e la pioggia lava via le righe bagnate sul viso.
Il
mondo si sveglia, è di nuovo buongiorno. Tutti ritornano a casa
nuovi. Le persone si guardano piano, sorridendo con amabile
delicatezza: la fretta non è mai esistita. Si cercano, si trovano,
si tendono la mano. Torniamo a casa assieme, stanotte guarderemo il
mare dalla finestra della camera da letto. Stanotte allungheremo il
cannocchiale verso la luna e affogheremo nei suoi bianchi orizzonti.
Nei suoi grigi crateri incontreremo i nostri giorni migliori. Faremo
girotondo tutto attorno. Nascondino, pescami, trovami, con tutte le
regole che vuoi, basta giocare. Torniamo a casa assieme, stanotte
piegheremo i fazzoletti di stoffa a forma di barchette che non si
scioglieranno nell'acqua. Navigheremo lontano, dove c'è il bel cielo
e tanto arancione, così non hai paura del blu oltremare, quello che
se ti prende ti toglie l'aria. Ti darò la mia aria, la condividiamo,
così non ti mancherà mai. Torniamo a casa, ti massaggio le tempie,
non soffri più. Ho steso un tappeto di fiori fino alla porta
d'ingresso. Se vuoi dormiamo e io accarezzo i tuoi sogni, tu se vuoi
non te ne accorgi e tieni gli occhi chiusi. Soffio via gli incubi più
ocra, e i mostri che fanno salotto sotto al letto. Torniamo a casa
assieme. Stanotte sono piovute note di vetro. Ho socchiuso gli occhi.
Ho fatto un palloncino di stelle, te lo voglio donare. Poi magari ci
tuffiamo dentro e ci perdiamo un po' per sempre. Tanto abbiamo noi,
noi chi? Noi stessi, non è sufficiente? Se ti concentri galleggi, ma
basta poco, così non vai a fondo.
Ti
voglio bene. Ha piovuto, abbiamo pianto vetro, ora seguiamo il fiume,
il filo te lo cucio sul cuore, con la neve che verrà.
Stanotte,
sulla luna, per te.
Le
note si adagiano lentamente sul filo di vetro come ballerine stanche,
barcollano un po', qualche piroetta ma la stanchezza il cielo non la
vede da lassù. Avanzano scivolando, è un lungo lago ghiacciato: è
la fine del primo atto. Scivolano, giù giù giù, buonanotte René.
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