mercoledì 14 settembre 2016

Renée passeggia.

Racconto scritto ascoltando "Salento" di René Aubry.

Renée passeggia da sola per le vie della città color giallo mezzogiorno, le lucertole prendono il sole in piazza, le esuvie delle cicale se ne stanno confuse con la polvere negli angoli arancioni, il vento gioca a fare silenzio nel rumore dei tacchi di lei. Renée passa una mano sulla fronte, si scontrano gli anelli dei suoi colori più belli, tintinnano le gocce di sudore mentre navigano verso sud, ma nessuno se ne accorge. Nessuno se n'è mai accorto. Un bambino corre veloce e lei si chiede come fa, con quel caldo giallo di mezzogiorno, a correre così. Magari ha un treno da non perdere, un basilico lasciato sotto il sole, la penna di dieci anni prima sdraiata su un tavolino color nuvola quando piove. Lei non ha treni da perdere, dopo averli persi tutti ha perso anche l'ora, il basilico l'ha sempre bruciato poverino, rifiuta di affezionarsi alle penne, infondo rilasciano solo inchiostro, non sentimento. Renée cerca qualcosa con le mani sulle pareti color muro un po' sbiadito, tipo giallo sporco, cerca la forma di quella duna che aveva accarezzato il giorno prima con le dita, cerca il sentimento che non trova, cerca lo spuntone da evitare per poter avere l'occasione di scorrere oltre. E infondo avere le dita color muro non sarebbe nemmeno tanto male, almeno a casa avrebbe qualcosa da lavare meglio, col sapone profumato. Poi taglierebbe il sedano, sposterebbe i barattoli, annaffierebbe i gerani, con le dita ancora profumate di menta fresca.
E se la parete non finisse mai?
Dovrebbe mettercela lei una fine a tutto questo scorrere delle dita, che sembra quasi il mare quando fa le pieghe e si corruccia tutto, contraddetto da qualche cosa degli abissi che non è dato sapere.
Il sole scalda il giusto sotto l'ombra, ma sempre troppo due centimetri al di là dei balconi barocchi.
Il vestito a fiori di Renée è troppo pesante, scoperto, ma pesante. Infondo non importa molto il tessuto se c'è la voglia di indossarlo sulla pelle. I buoni propositi pesano si sa, come il vestito a fiori sulle sue spalle gracili tutte dritte, ondulate. Ad ogni passo l'abito danza un po' intorno alle sue gracili gambe, prende le misure senza il metro da sarta, stavolta va ad occhio e croce.
Renée passeggia, chissà dove va questa mattina. Quando arriva in via Libertini immagina sempre due occhi che la seguono, solo per il gusto di immaginare dove possa andare una ragazza così, mentre carezza con cura le pareti. Una vecchina, un nipote del postino, un avvocato in ferie, non sa a chi potrebbero appartenere quegli occhi, lei li sente e basta. Renée decide che questa mattina non sarebbe passata semplicemente oltre, avrebbe aggiunto una virgola alla frase. La maestra glielo diceva sempre da piccola che parlava troppo tutto d'un fiato e che non andava bene in fin dei conti. Renée alza lo sguardo al balcone, il solito, è sicura, è pronta a conoscere le pupille che ha sempre sentito sulla pelle.
Nessuno la osserva, né tanto meno la ammira. C'è una girandola che gira lenta, lenta, lenta, su se stessa. Nessuno le ha chiesto la mano per danzare un valzer col vento, allora ha iniziato a ballare da sola, pensa Renée. Infondo le dispiace un po' di più per la girandola solitaria che per il volto di nessuno che non la aspettava sul balcone. Ci avrebbe visto bene un bimbo rosso come un palloncino tutto gonfio intento a soffiarci sopra. Almeno avrebbe provato tenerezza, e anche un po' di malinconia forse. Dispiacersi per gli oggetti è sciocco, glielo diceva la zia ogni volta in cui vedeva il suo viso incupito all'improvviso. Il tavolo non parla e i sogni fanno anche un po' male. Bisogna ricordarsi di questi dettagli di tanto in tanto.
-Signorina, si sente bene?
Renée si è appoggiata alla parete, forse un po' troppo, se fosse stata orizzontale ci si sarebbe seduta sopra, comodamente.
-Sì, io sto bene, lei come si sente?
Il signore con la maglietta verde oliva, di quelle che rimangono con lo stecchino infilzato dentro, sul fondo di un Martini, è andato via. Probabilmente voleva assicurarsi che lei non stesse morendo, quello sarebbe stato proprio un brutto inconveniente in una mattinata color giallo. Di solito si muore col grigio sporco, grigio topino. Gli aveva risposto e lui era andato via. Chissà come si sentiva.
Renée improvvisamente sente il bisogno di chiedere ai passanti come si sentono. Però non tutto quello che si sente dentro si può esprimere, che peccato. Qualcuno da qualche parte nel mondo se potesse ascoltare questo suo pensiero a braccetto con quegli occhi delusi scuoterebbe il capo. Questa mattina troppe cose succedono all'improvviso. È una di quelle mattine in cui si dimentica la pentola a pressione sul gas. Per fortuna lei nemmeno sa come sia fatta la famigerata pentola a pressione, un essere mitologico che vive nelle grotte più profonde e recondite.
Osserva la vetrina di un negozio di gioielli, butta l'occhio come uno yo-yo in una sala con le volte a stella e scorge dei quadri appesi, poi un uomo buttato su una sedia, una bottega in cui ci starebbe bene un calzolaio, un ristorante greco. Di greco Renée conosce solo la pita e cerca ancora di capire se sia un formaggio oppure una piadina arrotolata come un fazzoletto di seta nel taschino di una giacca elegante, tutta nera. 
Adesso ha sete, berrebbe una cascata intera, anzi tutta l'acqua del mondo. Compra una bottiglietta d'acqua in un bar, rallenta il passo per fare due sorsi veloci ma dissetanti. Un rivoletto scorre lungo il suo mento, saluta il collo in discesa e si perde tra i seni abbronzati. Si asciuga con la mano il mento, come fosse sporca di cioccolato e non di trasparenza. Butta la bottiglia ancora gocciolante nella borsa di tela, così anche gli oggetti possono avere un po' di refrigerio. Si bagneranno e si asciugheranno in silenzio, senza lamentarsi. 
Renée guarda l'orologio distrattamente, pensa a cosa mangerà per pranzo, qualcosa di freddo sicuramente. Immagina di mangiare ghiaccioli e pesce fresco con un pinguino sul parquet di casa. Poi vorrebbe che un postino le consegnasse una lettera d'amore, profumata di un luogo lontano lontano, caldo e arancione. Non è a casa per riceverla e non c'è nessuna cassetta della posta lì con lei, ma spera che un postino arrivi lì, dopo averla rincorsa per chilometri, tutto trafelato, solo per consegnarle una lettera profumata. Lei ce lo mette il profumo sulle lettere, prima di spedirle.
Renée inciampa tre volte, su una mattonella storta, su uno scalino e poi sui suoi stessi piedi. Spinge una porta pesante e alta. Entra in una libreria che galleggia nell'aria condizionata, con un bar annesso dietro alla zona dei nuovi arrivi. Si appoggia su una pila di romanzi vicino alla cassa per riprendere fiato, si guarda in giro cercando un nome, un posto dove viaggiare.
-Buongiorno signorina, desidera qualcosa?
-Sì, grazie, vorrei un po' di tempo.
-Ah certo faccia pure, allora se le serve una mano mi trova qui dietro.
-No ecco, vorrei proprio un po' di tempo.
-Non sono sicuro di capire, signorina.
-Ha presente quando vorrebbe ballare il tango senza sapere dove mettere i piedi, mangiare una pita per il gusto di scoprirne la forma, scoprire chi si affaccia da un balcone tutte le mattine? Vorrei un po' di tempo dunque, capisce?
-Sì capisco, probabilmente, ma non so come aiutarla davvero.
-Bene, allora vorrei una favola fresca, ma che sia lunga. Voglio stare qui per un po'.
Renée si siede su una sedia lì accanto. Si passa le mani sul viso sudato e accavalla la gamba destra, nascosta sotto al vestito pesante.
-Ah, posso chiederle un'altra cosa?
-Certo, signorina, ma sarà altrettanto complicata?
-Lei, come si sente?


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